La Regione non spende ma perde i fondi Ue

campania_cald_pL’angusto sentiero dell’economia campana verso la ripresa tende, oggi ancor di più, a restringersi. La situazione strutturale è sufficientemente chiara e condivisa, tanto che sarebbe il caso che anche l’esecutivo regionale ne prendesse atto con responsabilità e, magari, con spirito d’iniziativa. Proviamo, ripercorrendo le valutazioni della Banca d’Italia, a sintetizzarne le impietose connotazioni. Il prodotto interno lordo della regione si contrae, nel 2010, a fronte di una sia pur moderata crescita del valore medio nazionale; una simile contrazione incide, com’è intuibile, sul mercato del lavoro, nel quale il numero di occupati diminuisce per il quarto anno consecutivo. Oltre 600 mila giovani della regione, tra i 15 e i 34 anni, sono disoccupati e non oggetto, al contempo, di processi di studio o di formazione. Una simile dimensione della questione giovanile, la cui drammaticità travalica l’aspetto meramente economico dello spreco di capitale umano, altro non è che il portato di una configurazione produttiva che, nella sua componente privata, stenta a trovare nuovi equilibri virtuosi e di una componente pubblica, quella che fa capo alle politiche regionali, che non è in grado di esprimere un solo intervento di sostegno, ciclico o strutturale che sia. Il combinato di carenza della domanda globale e d’inesistenza di governance della giunta regionale avviene in un contesto nel quale nemmeno il credito bancario svolge più alcun ruolo di tamponamento della crisi di liquidità. In ragione di una mutazione oramai consolidata dei meccanismi allocativi delle aziende di credito, i fondi arrivano esclusivamente alle imprese meno rischiose, mentre le difficoltà di rimborso dei prestiti interessano, oramai, un quarto delle imprese campane. Succede così, in un quadro non proprio confortante, che le imprese più piccole e marginali, caratterizzate da un elevato rapporto tra debito e patrimonio, ricorrano al credito di usura o siano oggetto di scalata “ostile” da parte di capitale illegale da riciclare: l’Ires Campania stima, a questo proposito, che il fenomeno sia stato, nell’ultimo biennio, particolarmente rilevante nelle imprese con meno di 20-25 addetti del settore edile. Questo il quadro nel quale si cala l’immobilismo della giunta regionale. Per valutarne appieno le responsabilità, il lettore dovrebbe tenere conto di una caratteristica peculiare e consolidata della nostra economia: l’andamento delle variabili macroeconomiche campane è determinato inesorabilmente dall’evoluzione degli investimenti e dei consumi pubblici. Se queste voci crescono, come all’inizio dello scorso decennio, l’economia tira; se esse ristagnano, come tra il 2005 e il 2007 e come nel 2010, l’economia si ferma. Così è, che ci piaccia o no; e poco senso avrebbe oggi chiamare in causa le debolezze strutturali di una classe imprenditoriale poco incline al rischio e all’intrapresa in assenza di una “copertura” del settore pubblico. In tale situazione un esecutivo che si rispetti avrebbe il sacro dovere di minimizzare le possibilità che anche un solo euro, potenzialmente fruibile dalla regione, possa andare disperso e non veicolato nel circuito locale della produzione e del reddito. E questo è esattamente quello che non sta succedendo. Come tutti ricorderanno, l’attuale giunta regionale ha esordito, lo scorso anno, palesando lo sforamento, da parte dell’amministrazione Bassolino, dei vincoli d’incremento di spesa contemplati dal famigerato Patto di Stabilità. Era un palesamento politicamente mirato, sì, a delegittimare gli avversari politici ma, ahimè, affetto da una patologica inclinazione masochistica: ogni denuncia dei cattivi amministratori di sinistra si accompagnava a un ulteriore giro di vite da parte di un ministro, Tremonti, che non aspettava altro che una più serrata chiusura dei cordoni della borsa. Da un anno, dunque, tutto fermo: nessuna spesa rilevante, contrazione delle misure di welfare e di quel poco di sostegno alle attività produttive. Ma in quest’assenza d’interventi i nodi vengono al pettine; nel nostro caso la fruibilità dei fondi europei da parte della regione. Omettendo la noiosa acronimia dei finanziamenti comunitari, è opportuno sottolineare che entro fine ottobre la Campania dovrà evitare il “disimpegno” dei fondi che a essa sono oggi riservati. Come? Cofinanziando, in altre parole mettendo a disposizione la propria quota di risorse per i progetti per cui si è chiesto l’intervento di Bruxelles. Ma il vincolo del Patto di Stabilità non consente un tale intervento; dunque i fondi rischiano di passare ad altre regioni più virtuose. L’Ifel, il centro di ricerca collegato all’associazione dei Comuni, stima che oltre settecento progetti rischiano la restituzione dei fondi all’Unione europea. Da tempo lo ricorda pure il commissario europeo Johannes Hahn. Ma la nostra giunta? Il suo presidente ci assicura, a solo due mesi dalla scadenza, di averne parlato con il presidente del Consiglio, mentre si presentano interrogazioni parlamentarie mentre le organizzazioni sindacali premono per una soluzione del problema. Chiedere al governo lo scomputo del cofinanziamento dal Patto di Stabilità sarebbe stata la soluzione migliore; ma non oggi: un anno fa e facendo lobbying nella fase di stesura della legge finanziaria. Nel frattempo il presidente del tavolo di partenariato regionale ci ricorda ancora, come nella pervicace insistenza del frate con Troisi sul “ricordati che devi morire”, quanto spendacciona e incompetente sia stata l’amministrazione Bassolino. Noi, come Massimo, mo’ce lo segniamo. Ma intanto Tremonti gongola: l’ottusaggine nostrana consente di risparmiare anche la quota nazionale di cofinanziamento dei progetti campani.

 Ugo Marani

La Repubbica Napoli | mercoledì 27 luglio 2011

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