Gli indicatori del buon governo

di Giovanni De Falco, responsabile attività scientifiche Ires Campania.

 

I finanziamenti da erogare a sostegno delle imprese e dello sviluppo di questo Paese seguono una logica distribuzione delle risorse in ragione dei pesi relativi delle economie locali.

Per esempio, relativamente al numero delle imprese e degli addetti rispetto a determinati settori, la quantità di finanziamenti impegnati negli anni precedenti a sostegno della Ricerca scientifica, la dimensione del sistema creditizio o, ancora, rispetto alla capacità produttiva delle PMI e al volume di esportazioni, e così via.

Lo strumento essenziale alla programmazione resta la statistica che dovrebbe essere in grado, in qualsiasi momento, di offrire una compiuta analisi sullo stato delle economie locali (regioni) e del Paese.

Per questa ragione esiste l’Istat, Istituto per la statistica nazionale, e recentemente si è andato a costituire il Sistan, Sistema statistico nazionale, che raccoglie le attività di tutti i soggetti produttori di statistica certificandoli.

Tutto bene dunque? Per niente.

Chi veramente volesse accedere ad un sistema statistico congiunturale in grado di rappresentare lo stato del Paese rimarrebbe deluso. Il sistema di rilevazione Istat risulta non omogeneo né aggiornato, molti indici - che sarebbe opportuno confrontare - sono aggiornati per anni differenti: alcuni al 2003, altri al 2004, altri ancora al 2005 e raramente al 2006.

In special modo la statistica riguardante il settore della produzione risulta particolarmente danneggiato. Cercate, se ci riuscite, ad avere un quadro preciso sul numero delle imprese di un qualsivoglia settore di attività economica, l’unico dato certificato è quello derivato dalla rilevazione censuaria (l’ultima del 2001, sono trascorsi da allora sette anni!!!).

Ricorriamo, allora, ad altre fonti? Verrebbe immediatamente a mente la possibilità di recuperare il dato dalle Camere di Commercio (Unioncamere), niente da fare: il numero delle imprese iscritte a registro è un dato amministrativo, e poi si dovrebbe distinguere tra imprese attive e non, con in corso processi di fallimento e così via.

Men che meno sarebbe possibile ricostruire il numero degli addetti…

Su questa base, ci sarebbe da chiedersi: come si fa a programmare finanziamenti ed investimenti in questo Paese? Dovremmo pensare che, per omogeneità, si tenga conto dell’anno in cui gli indici siano tutti disponibili. Per restare al nostro ragionamento, per esempio, il 2003 anche in ragione di alcuni aggiornati ad anni più recenti. Seppure a distanza di quattro anni, sarebbe possibile ottenere ed analizzare la situazione del Paese a quella data. Non è così, la programmazione dei finanziamenti è collegata a particolari condizioni dei sistemi economici locali registrati in anni oramai lontani e alla capacità contrattuale della politica. Sulla spinta di forti interessi locali che contestano questa metodologia tutta “italica” si pone con sempre maggiore insistenza il problema di una distribuzione degli aiuti finanziari in ragione di elementi di calcolo "certi" e che rispecchino l'andamento reale delle economie locali.

In questo caso le regioni più deboli (quelle del Mezzogiorno) risultano estremamente svantaggiate. Gli indicatori strutturali dell’economia, seppure in vario modo rilevati e datati, confermano due fondamentali assunti: il primo, gli indici normalizzati (a base cento) non riescono a recuperare le percentuali di finanziamenti assegnati con decreto a queste regioni; il secondo, se questa situazione di arretratezza congiunturale (o di stagnazione economica) si perpetua da anni, significa che a queste regioni sono arrivati finanziamenti ben più consistenti di quanto atteso, ma significa pure che tali quantità di danaro non sono riuscite a sostenere un processo di crescita dell’economia locale finendo o assorbiti da un sistema sempre più assistenziale o sperperati in operazioni fallimentari e senza respiro di mercato.

La Campania, seppur registri debolissimi segnali di ripresa rispetto all’anno 2004 (i più aggiornati dati si riferiscono al 2005) in taluni indicatori, registra una generale flessione rispetto agli indici registrati nel 2001 (anno dell’introduzione della moneta unica europea). Risulta difficile trovare indicatori utili per un eventuale ricalcolo  delle percentuali di distribuzione dei finanziamenti che possa confermare il dato assegnato da decreto (8,2% delle risorse nazionali). In gran parte degli indicatori la regione occupa gli ultimi posti delle graduatorie nazionali:

-       diciassettesima (su 20) per capacità di esportazione;

-       sedicesima per grado di apertura dei mercati;

-       quarta (dietro Calabria, Sicilia e Molise) per grado di indipendenza economica;

-       tredicesima per capacità di attrazione turistica;

-       quattordicesima per intensità di accumulazione del capitale;

-       dodicesima (val. 0,6 a fronte di un val. 244 della Lombardia) per capacità di attrazione di investimenti esteri;

-       ventesima (ultima) per capacità partecipativa della popolazione al mercato del lavoro;

-       terza per peso di lavoro irregolare sul totale del mercato del lavoro;

-       quarta per capacità di esportare prodotti ad elevata o crescente produttività (in questo caso il dato è sostenuto dalle esportazioni riferite esclusivamente al settore automobilistico ed aerospaziale);

-       settima per spesa sostenuta per attività di R&S della PPAA, Università e imprese pubbliche;

-       ottava per capacità di sviluppo dei servizi alle imprese;

-       ventesima (ultima) per capacità di sviluppo dei servizi sociali;

-       prima (a pari con la Calabria) per differenziale dei tassi attivi a breve sui finanziamenti per cassa rispetto al Centro-Nord;

-       prima (36,6, ultimo il Trentino A.A. con indice pari a 11,2) per crimini violenti su 10.000 abitanti;

-       diciannovesima (51,2; Ita=100) per indice di infrastrutturazione economica;

-       quattordicesima (2,0; prima Marche 73,2) per incidenza dell’occupazione nei distretti industriali;

-       sedicesima per produttività del lavoro nell’artigianato;

-       diciassettesima per produttività del lavoro nell’industria in senso stretto;

-       diciassettesima per produttività del lavoro nell’industria manifatturiera;

-       ventesima (ultima) per produttività del lavoro nei servizi di intermediazione finanziaria e nelle attività immobiliari ed imprenditoriali;

-       tredicesima per produttività del lavoro nelle PMI;

-       diciottesima per Unità regionali che hanno introdotto innovazioni di prodotto e/o di processo;

-       sedicesima per spesa media per innovazione delle imprese;

-       quindicesima per numero di brevetti registrati alla European Patent Office per milione di abitanti;

-       diciottesima per impieghi bancari in percentuale al PIL (intensità creditizia).

 

Come si può facilmente rilevare questi indici rappresentano una vera e propria Caporetto dell’economia locale (ma anche della società) campana.

In questo modo ogni possibile intenzione di rivedere gli accordi di distribuzione delle risorse sulla base di parametri ed indicatori certificati farebbe tremare chiunque; infatti, sulla scorta di questa situazione economica, così descritta dall’Istat, le regioni meridionali andrebbero a perdere parecchi milioni di euro.

Nel terzio millennio c’è ancora chi si appella e fa leva e ricorso alla “politica della solidarietà”. La stessa perseguita nel secolo scorso.

Se questa è politica! Se questa è la novità del buon governo locale!

NotizieSindacali.com luglio 2007

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