La riorganizzazione amministrativa del territorio: la città metropolitana.

Recuperare risorse, offrire servizi, creare lavoro.

Gianni De Falco, direttore Ires Campania.

Notiziesindacali.com 3/10/2011

 

Oggi, alla luce dei mutamenti in corso, diviene sempre più importante aggiornare la geografia urbana della regione campana, evidenziando le dinamiche delle trasformazioni territoriali affermatesi nel corso degli ultimi anni.

La condizione monocentrica della struttura regionale, che rappresenta il retaggio di un'organizzazione territoriale comunque ancora fondante in Campania, è stata basata sull'applicazione di un modello di agglomerazione di tipo fordista e su un forte protagonismo dell'intervento dello Stato e, in genere, delle istituzioni pubbliche nei processi di sviluppo economico, sociale e territoriale.

Le trasformazioni realizzatesi nell'ultimo ventennio testimoniano, invece, della crisi delle economie di agglomerazione e dell'intervento pubblico, e dell'emergere di realtà intermedie in un quadro di organizzazione territoriale e produttiva che potrebbe definirsi come post-fordista, fondato prevalentemente sulla valorizzazione di risorse che attingono alla scala locale dei know-how e dei patrimoni ambientali e culturali.

Profondamente mutato appare il quadro delle nuove relazioni fra le varie parti del territorio metropolitano, soprattutto per quel che riguarda il rapporto tra aree interne e aree costiere, e quello fra i centri medi e la città di Napoli.

Mentre i dualismi tradizionali (costa/interno, grande/piccolo) si svuotano di contenuto, sembra utile ricostruire i lineamenti dei nuovi equilibri, che se da un lato moltiplicano le nodalità dei percorsi di sviluppo, dall'altro estendono i problemi di un forte impatto ambientale e segmentano in una pluralità di scale gli squilibri, delineando una nuova geografia della marginalità.

I nuovi assetti territoriali che sembrano profilarsi trovano riscontro anche nei più recenti approcci di politica del territorio adottati in Campania, così come in altre regioni italiane, negli ultimi anni: un modello improntato alla valorizzazione di forme auto-organizzative di agire territoriale, che punta a promuovere il protagonismo degli attori locali nei percorsi di sviluppo locale alla scala urbana e, in genere, a quella sub-regionale dei sistemi locali.

Diviene allora essenziale recuperare, attraverso un nuovo disegno urbano, un’identità locale capace di “riaggregare la società” e gli “interessi delle aree” in un contesto di sviluppo coordinato che passi anche attraverso nuove forme di organizzazione territoriale; in particolare si pensa ad un sistema urbano articolato tra forme di concentrazione ed “integrazione reticolare”, legate a fattori di territorialità nei quali alimentare la produzione di “conoscenza” e “creatività” per esprimere nuove forme di polarizzazione con la realizzazione di differenti livelli di relazioni e di gerarchie tra regione, Città metropolitana, Municipalità e aree di corona, teoricamente proposte dalla “variante di piano” napoletana e, di fatto, ampiamente superate alla luce dei nuovi indirizzi dello sviluppo locale.

Numerosi esempi sono alla portata di chiunque voglia approfondire questi temi basta rifarsi alle esperienze italiane, come per esempio all’esperienza di Roma, o a quella bolognese (ambedue studiate dall’Ires Campania).

Nei due casi il ridisegno territoriale è stato utilizzato per (ri)definire i diritti di cittadinanza. Il primo tema che si deve porre, se si vuole seriamente ripensare il problema dei diritti è il loro rapporto con la territorialità, nel duplice senso del legame che essi hanno con un certo ambito e del potere che le istituzioni che governano quel certo ambito detengono nel promuovere e assicurare quei diritti.

Riportata l’esperienza all’area napoletana si è immaginata una metodologia di ridisegno urbano che riducesse le realtà amministrative locali da 92 comuni a sole 36 municipalità.

Qualche tempo fa venne alla ribalta la proposta di riunificazione i sei comuni ischitani in un’unica amministrazione, proposta che non ebbe seguito ma che ha portato alla ribalta il valore economico di quella proposta.

Probabilmente è mancata la necessaria preparazione ed informazione della cittadinanza ma, certamente, ha prevalso l’interesse politico (meglio sei poltrone da Sindaco che una da Presidente) e tutto è rimasto come prima.

Il tema delle Municipalità, dunque, si propone prepotentemente all’attenzione nelle politiche di rilancio del territorio e richiama la Regione (e le Province) ai compiti propri di programmazione e controllo.

La creazione della Città Metropolitana con la riduzione a 36 municipalità metropolitane e la creazione di 7 distretti per la gestione dei servizi a scala sovramunicipale (polizia, raccolta rifiuti, gestione acque ed energia, ambiente, trasporti, e così via) consentirebbe un reale risparmio sui costi della politica di enorme entità, si passerebbe dai costi della gestione amministrativa attuale pari a 37,5 milioni di euro a 19,9 milioni con un risparmio di 17,5 milioni di euro.

Una cifra che sarebbe impegnabile in attività di nuovi servizi e welfare per i cittadini, in attività di risanamento ambientale, di recupero delle aree urbane, di nuove o più moderne infrastrutture e, ovviamente, di nuovo lavoro e rilancio di una economia in profonda crisi e senza serie prospettive di rilancio. Una ridefinizione vera dei diritti di cittadinanza.

Sulla scorta di questa trasformazione nell’area metropolitana si potrebbe applicare  la stessa metodologia a scala regionale seguendo l’unica strada percorribile: quella dell’aggregazione coerente di alcune aree per offrire ad esse una qualche probabilità di competitività territoriale. Potremmo fare alcuni esempi di aree omogenee: la Baronia e la valle dell’Ufita in Irpinia; il Fortore nel beneventano; il Cilento o il Vallo di Diano nel salernitano; il Matesino nel casertano. Sono aree povere in termini di risorse pur avendo grandi potenzialità. In tali aree, per cominciare, potrebbero individuarsi quelle nuove Municipalità regionali che mettendo insieme i piccoli comuni realizzino economie di scala individuando risorse e prospettive di sviluppo.

Chi opera nel campo dell’economia sa che i piccoli comuni, oggetto di particolare attenzione legislativa, da soli non potranno in alcun modo competere o realizzare processi di sviluppo sembra necessario, quindi, trovare percorsi realmente innovativi, le forme di autogoverno offerte dalle Municipalità sembrano offrire un’occasione unica.

Cerca nel sito

Incontri

Fut Rem

 

.

 

Chi è online

 116 visitatori online