L’AnsaldoBreda tra crisi e rilancio.

Nel film Le vie del Signore sono infinite di Massimo Troisi alla battuta di un tipo che si lamentava dei servizi ferroviari «Quando c’era “lui” i treni arrivavano in orario…» il protagonista risponde «Invece di rovinarci così poteva limitarsi a fare il capostazione…». Questa battuta potrebbe bastare ad inquadrare la situazione drammatica che il settore ferroviario attraversa in Italia.

L’AnsaldoBreda, l’azienda leader della ricerca e produzione industriale, corre seri rischi di sopravvivenza per vie di scelte di indirizzo politico sul settore profondamente sbagliate, insufficienti e gravemente lesive della sua storia e delle competenze tecnico professionali ancor oggi presenti in azienda.

La crisi di AnsaldoBreda è però spiegabile con l’incredibile conduzione della “casa madre” Finmeccanica, secondo gruppo manifatturiero italiano che solo sul territorio nazionale conta 75 stabilimenti, dei 185 sparsi per il mondo.

Secondo R&S Mediobanca, il gruppo conta 70.474 dipendenti, di cui circa 40mila in Italia. Inoltre ci sono i fornitori, che in Italia sono circa 5.700. Il 35% di questi si può considerare technology-based, ovvero imprese a buon contenuto tecnologico che assolvono compiti precisi nella fisiologia industriale del gruppo. Questa filiera, per la maggior parte, è al servizio soprattutto di Finmeccanica.

Si tratta di un gigante che, nella sua dimensione strategica e tecnologica, è fortemente internazionalizzato e profondamente radicato nel paesaggio manifatturiero italiano.

La politica ha fortemente condizionato la situazione di crisi con un ritardo complessivo nell’affrontare la situazione di un gruppo che è molto importante nell’attuale economia del Paese. Oltre alla responsabilità del management, che sicuramente è determinante, c’è una responsabilità di indirizzo politico. È il Governo, infatti, che avrebbe dovuto tempestivamente prendere atto dei problemi che da anni toccano il vertice di Finmeccanica e dare un assetto diverso, più strutturato. C’è stato un ritardo notevole, dunque, nell’affrontare una situazione che da tempo sembrava deteriorata.

Ma il gruppo dirigente di Finmeccanica ha goduto di appoggi e protezioni da Palazzo Chigi e dal "sistema Letta" (Gianni con Altiero Matteoli), della Lega e della UDC fino al ben noto sistema ciellino. Circondandosi di consulenti (remunerati a suon di milioni) di ogni risma: da Lorenzo Cola a Valter Lavitola fino, e perfino, a Gianpi Tarantini (nani e ballerine non hanno affollato, in questi anni, soltanto le aule parlamentari).

Scandali, inchieste, acquisizioni industriali costosissime ingiustificabili ed ingiustificate, piani industriali insufficienti, ridimensionamenti produttivi, dismissioni, licenziamenti… insomma, non ci siamo fatti mancare nulla.

L’effetto peggiore è che vada a crearsi un vuoto strategico nell’industria italiana, a cominciare da un complessivo indebolimento dei nostri asset industriali del Novecento. Stiamo perdendo, pezzo per pezzo, quelle “filiere industriali” che 50-70 anni fa hanno diretto la nostra modernizzazione economica e produttiva. A questo punto si tratta di girare pagina.

Ma questo cambio sta avvenendo sotto l’urgenza di momenti straordinari che accentuano le condizioni in cui versa oggi la nostra industria, la quale non ha più davanti a sé uno scenario preciso di riferimento e si ritrova a navigare a vista.

E questo per un Paese già aggravato da un peso di forte crisi nell’industria, significa una pesantissima forma di penalizzazione e di indebolimento.

Se Finmeccanica dovesse entrare in profonda crisi, della grande industria italiana rimarrebbe ben poco. C’è il rischio di vedere scomposti tutti i nostri asset.

È chiaro che se dovesse accadere una cosa del genere, dovremmo ‘settare’ un ridimensionamento radicale della nostra produzione industriale, il che vorrebbe dire abdicare a una delle componenti più moderne della nostra economia.

L’industria, infatti, rappresenta il filo che ci lega alla dinamica dell’economia internazionale. Se si rompe questo filo siamo nei guai, molto più pesantemente di quanto già siamo adesso.

In questo quadro si colloca la questione AnsaldoBreda su cui pesa un gravissimo giudizio di inadeguatezza del proprio sistema manageriale e direttivo che sembrerebbe percorrere la stessa esperienza di Finmeccanica.

I più recenti insuccessi, il blocco delle commesse ferroviarie del V250 da parte di Olanda e Belgio, mette a repentaglio la sopravvivenza stessa del gruppo.

Le ragioni che il cliente ha addotto per giustificare una scelta che il management AnsaldoBreda considera scorretta, inaccettabile e imprevista, sarebbero tutte di carattere tecnico, legate cioè alle presunte gravi carenze progettuali del treno. L'impatto sul conto economico, come sul piano dell'immagine aziendale è giudicato pesantissimo e foriero di gravi ripercussioni. La AnsaldoBreda ritiene necessario rigettare ogni addebito rispetto alla qualità di treni che avrebbero ricevuto tutte le certificazioni. Della vicenda se ne starebbero occupando, vista la rilevante dimensione politica ed economica, direttamente il Governo, nella persona della Ministra Bonino e gli stessi vertici di Finmeccanica.

L'Italia non può rinunciare ad una propria presenza nel settore ferrotranviario e, in questo senso, AnsaldoBreda non può che esserne l'attore principale.

La commessa Etr 1000 (il treno AV dedicato a Pietro Mennea, recentemente scomparso) è sicuramente un fatto che fa ben sperare ma, dopo due anni di incertezza e di una disorientante ridda di voci, il Governo dovrebbe dire parole chiare in rapporto alla politica industriale del Paese e al ruolo che può avere in essa AnsaldoBreda, dando gli indirizzi conseguenti a Finmeccanica. Manca, tuttavia, un’idea di politica industriale relativa all'intero comparto ferroviario (e forse non solo relativo a questo).

Non c'è dubbio alcuno sulle storiche e consolidate capacità qualitative, produttive e professionali di AnsaldoBreda, molti dubbi sorgono invece, periodicamente confermati da diverse scelte gestionali, sulle capacità del management.

Occorre salvare AnsaldoBreda, un vero patrimonio professionale, occupazionale e industriale per il nostro paese, investendo su processi e prodotti, rilanciando la progettazione. Sarebbe vitale, quindi, dar corso ad un piano di investimenti sia sui prodotti sia sui processi produttivi.

La politica dell’AV ha mortificato e ridimensionato i collegamenti e le tratte minori, basterebbe pensare ad un treno regionale (e metropolitano) di nuova generazione per rilanciare la produzione ferroviaria rimodernando ed aggiornando un viaggiante (motrici e vagoni vecchi ed inadeguati ai tempi), una rete e un sistema che, per impotente sfogo, non costringa ancor oggi a ricordare che «Quando c’era “lui” i treni arrivavano in orario…». Alla fine, purtroppo, qualcuno potrebbe perfino crederci…

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