L’Unità. Un’altra storia che non c’è più.

La chiusura di un giornale, di qualsiasi indirizzo esso sia, rappresenta sempre una perdita per il coro della “democrazia”. È già capitato ad altri giornali, anche di una certa importanza, come, a diffusione nazionale: La Voce (fondato da Indro Montanelli),  Pubblico, Il Riformista, Liberazione, tra i più conosciuti e ancora: Terra, ed i free-press DNews, City, E-Polis e ancora tanti altri a diffusione locale.

Il primo di agosto ha cessato le pubblicazioni anche L’Unità. In questo caso non si tratta soltanto di un giornale ma di una ‘storia’. A cominciare dalla testata che riportava in evidenza la dicitura: Giornale fondato da Antonio Gramsci. A saperlo chi era e cosa ha fatto e detto questo Gramsci, quale contributo ha offerto alla giovane democrazia italiana. Un giovane di oggi risponderebbe: «Gramsci? Un giornalista?» oppure «Un editore», sempre sperando che non risponda, come nel documentario dedicato a Berlinguer di Walter Veltroni (a proposito è stato direttore dell’Unità), «Ah si, forse è uno che ha avuto a che fare con la mafia. Era un ispettore?» Con un punto esclamativo che non escluderebbe l’ipotesi del… mafioso!

L’Unità insieme ad altri giornali storici di partito come l’Avanti, Il Manifesto, La Discussione (fondato da Alcide De Gasperi), L’Opinione (fondato da un gruppo di liberali) e lo stesso Secolo d’Italia (voce storica della destra), hanno consentito ad intere generazioni di formare il proprio pensiero politico e la loro cultura. Spesso hanno contribuito anche a formare una vera e propria ‘istruzione’ ante litteram per chi, negli anni passati, non avrebbe potuto permettersela. Per esempio con la lettura comune fatta nelle Case del Popolo con contadini ed operai che lì imparavano a leggere e scrivere.

Di questi giornali se ne ricorda la tradizionale vendita da strada con giovani diffusori; gli strilloni, così detti perché per invogliare alla lettura (e alla vendita) ad alta voce ripetevano i titoli di testa o quelli più popolari riferiti a fatti di cronaca politica o di “nera” in molti casi aggiungendo roboanti commenti per l’incremento del ‘commercio’.

Ancor oggi alcuni di essi sopravvivono, e non so dire come, alla crisi di lettori e ad un sistema della comunicazione totalmente stravolto dalla diffusione capillare della radio (cronologicamente), della televisione, e dal sistema informatizzato (in principio “internet” in maniera più o meno coordinata e poi con la creazione dei quotidiani e/o periodici on-line).

L’informazione corre via etere e sul filo, immediata, aggiornata ad horas… Quasi tutti i quotidiani a stampa (su carta) hanno dovuto piegarsi a questa “dittatura” del mezzo ma hanno perso la caratteristica più cara a tanti: il contatto con la carta, l’odore della carta e dell’inchiostro “a piombo”, i polpastrelli “neri” a causa dell’inchiostro ancora fresco delle copie del mattino, l’articolo di Fortebraccio (che non era un eroe dei fumetti o dei cartoon…).

La possibilità di ritornare sull’articolo (che oggi rapidamente si perde “consumato” dal tempo di esposizione mediatica, da pochi minuti a qualche ora), ragionarci, riflettere, sottolineando più volte passaggi e frasi, a matita prima e con l’evidenziatore più recentemente.

L’Unità rappresentava anche una “appartenenza”, una “distinzione” etica e morale, per l’impiegato e per l’operaio, per lo studente e per il contadino. Una storia ed una cultura.

Storia che ha anche segnato la nostra “democrazia” e la vita di quegli impiegati ed operai che nel dopoguerra furono licenziati soltanto perché portavano in fabbrica “quel” giornale (lo abbiamo ricordato con il libro di Antonio Alosco edito da Ires Campania “Vittime della democrazia”) e non per il giornale, appunto, ma per quello che rappresentava.

Oggi ai nostri giovani bisognerebbe sollecitare una domanda: «chiedi cos’era L’Unità…», insieme a chi erano i Beatles scopriranno un’altra storia che non c’è più.

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