I fratelli del ’43.

Gianni De Falco

 

 

Le Quattro Giornate di Napoli si ricordano per i grandi eventi che si svolsero nei vari luoghi della città. Dalla fucilazione del giovane marinaio sulle scale dell’Università partenopea (antefatto che in qualche modo preparò ciò che poi accadde) all’assedio del campo Ascarelli (all'epoca "Littorio") del Vomero, utilizzato dalle truppe naziste come asserragliamento militare e campo di concentramento per gli uomini rastrellati all’indomani dell’otto settembre.

I luoghi della resistenza si moltiplicarono in poco tempo dal Vomero, dove il non più giovane sindacalista Federico Zvab combattè, e dove un tenente dell’esercito organizzò la prima resistenza armata e l’assedio dello stadio Littorio, a Capodimonte, dal Centro storico all’aeroporto di Capodichino, dai castelli di Sant’Elmo, del Maschio Angioino e Castel dell’Ovo che ritrovarono, seppure per poche ore, le antiche glorie militari, al Porto.

capuana 50Vorrei ricostruire oggi alcune vicende accadute tra Piazza Carlo III, corso Garibaldi, Porta Capuana, via S. Giovanni a Carbonara e via Foria che videro, anche qui, l’organizzazione di una resistenza armata con scontri a fuoco con le truppe naziste ricordando alcuni nomi di quei ragazzi, non noti ai più, che hanno scritto in maniera anonima un pezzetto della nostra storia e della nostra democrazia.

Un gruppo di amici tutti abitanti tra il corso Garibaldi ed i suoi vicoli.

Comincio però da due persone più anziane a cui sono particolarmente legato essendo loro i miei nonni. Giovanni (di cui mi onoro di portarne il nome), socialista, operaio licenziato dagli Arsenali militari perché non volle iscriversi al PNF, riparato in Francia dove conobbe i fratelli Rosselli e rientrato in Italia al seguito delle truppe alleate; la moglie Vincenza Alfarano, operaia presso i Monopoli di Stato in via Porta di Massa di fronte all’Università Federico II, mamma di quattro figli tre femmine e un maschio, che in assenza del marito portò avanti la famiglia come potè.

gennarino de falcoIl figlio maschio si chiamava Gennaro, attor giovane in numerose compagnie teatrali di varietà, Rino sui cartelloni teatrali e Gennarino per tutti i familiari e per gli amici, mio padre.

Gennarino, come molti giovani del tempo aveva un gruppo di amici che non furono mai soltanto amici, fu, quello, un gruppo di ‘fratelli’ nonostante tutti appartenessero a famiglie numerose e, in alcuni casi, numerosissime e tutti nati tra la fine degli anni ’10 e l’inizio degli anni ‘20. La guerra decise per molti di essi storie e vicissitudini differenti.

Così Gennarino al tempo della chiamata alle armi decise di arruolarsi come volontario pur di non farsi arruolare con la Milizia fascista, fu inviato al fronte greco-albanese. Altri ebbero varie storie ma si ritrovarono tutti a Napoli in quel settembre del 1943.

Tutti tranne Gennarino che in un esercito sbandato, senza più ordini e senza più ufficiali scelse di continuare a combattere nella resistenza jugoslava titina e per quel socialismo in cui tenacemente credeva. Non furono quattro giornate ma altri quattro anni di dura lotta.assentato tra i prot della scissione

Nelle strade tra il corso Garibaldi e Porta Capuana combattè anche l’operaio tessile e sindacalista della Fiot-Cgl Francesco Assentato, socialista, tra i protagonisti della scissione di Palazzo Barberini con l’uscita dei saragattiani su posizioni di sinistra, minacciato – come egli stesso raccontò – con armi in pugno dal giovane Sandro Pertini per impedirgli la lettura del documento che avrebbe sancito ufficialmente la scissione socialdemocratica.

In quelle strade si incrociarono con lui, senza averne conoscenza, i giovani “fratelli” di mio padre: i fratelli Zanchelli, Raffaele ferroviere e Alfredo giovane carabiniere; Enzo D’Urso, impiegato al Comune di Napoli e papà di Bruno, bruno-dursoa sua volta mio amico ed oggi Presidente dell’ufficio dei GIP presso il Tribunale di Napoli e Gino Donzelli, impiegato alla Fiat, sindacalista Cisl e papà di Gianni, oggi noto cantautore e fondatore del gruppo Audio2.gianni-donzelli

La storia, dunque, si scrive in mille capitoli e tra questi se ne ritroverà sempre almeno uno scritto da persone comuni che con piccoli o grandi gesti parteciperanno della Grande storia nella quale, però, essi non saranno mai ricordati.

Il corso Garibaldi e Piazzetta Volturno dove i miei abitavano, nella memoria dei più anziani viene anche ricordato per il ritorno a casa di Gennarino, oramai dato per disperso di guerra e morto presunto.

L’annuncio fu dato da una certa Annarella che cuoceva le spighe per strada e che riconobbe il soldato Gennaro De Falco: «’Onna Viceeee’ è turnato ‘u figlio vuosto!» ma tutti ricordano che non fu un richiamo ma quasi un urlo di gioia popolare che coinvolse l’intero quartiere.

I giovani “fratelli” si ritrovarono così nel 1947 per altre quattro giornate di festeggiamenti e gioia. Per anni il sabato sera le famiglie si riunivano e i “fratelli” si ritrovavano per il “tressette”. Di qui l’amicizia tra i loro figli che continua ancor oggi.

Di essi sopravvive soltanto Gino Donzelli ma è come tenere ancora accanto un pezzetto di storia, di mio padre e dei suoi ‘fratelli’ del ‘43.

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