Il Mezzogiorno dentro la crisi. Le politiche per lo sviluppo.

 

di Giovanni De Falco.

 

Gianni000L’esistenza di elevati squilibri territoriali nello sviluppo economico rappresenta uno dei tratti caratteristici delle economie industrializzate. La nascita dei primi fenomeni industriali nell’Europa centrale all’epoca della rivoluzione industriale è stata immediatamente accompagnata da un fenomeno di divergenza nei redditi pro capite regionali, incrementando le disparità esistenti nello sviluppo anche tra aree inizialmente piuttosto simili per struttura economica.

La tradizione Italiana in tal senso è particolarmente ricca. Dopo la chiusura dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno all’inizio degli anni novanta, l’intervento pubblico a favore delle aree svantaggiate è entrato in una nuova fase (la cosiddetta “programmazione negoziata”), basata sui principi della concertazione e del partenariato economico pubblico/privato.

Ma oggi la situazione è profondamente cambiata: «l’attuale governo – afferma Giancarlo Viesti economista dell’Università di Bari - ha abrogato, completamente abrogato, le politiche di sviluppo. Oggi abbiamo interventi finanziati ad hoc fuori da qualsiasi quadro di programmazione e di indirizzo pubblico. L’esecutivo utilizza il Fas, importante si badi sia per il Sud che per il Nord, come ‘argent de poche’ per qualsiasi intervento, giusto o sbagliato che sia. E la Confindustria, dal canto suo, mentre da un lato si lamenta per la mancanza di un quadro selezionato di interventi, dall’altro chiede il credito d’imposta, cioè finanziamenti a pioggia».

La relazione fra politiche di sviluppo e territorio è del resto un tema non nuovo e che, in ragione della sua complessità, inserisce alcune insidie, soprattutto nella costruzione di modelli applicativi affidabili e in grado di consentire la lettura del diverso impatto che le politiche hanno nei diversi territori e dell’interazione fra politiche che insistono sullo stesso territorio.

Ora sembrerebbe che il problema nazionale che condiziona le scelte politiche indirizzate allo sviluppo si chiami Mezzogiorno ma Viesti insiste «non siamo più di fronte a una questione meridionale. Abbiamo a che fare con una questione nazionale, è l’intero Paese che è fermo. Poi, certo, il Sud presenta una maggiore problematicità, il territorio meridionale è più fragile, ma tutta la vicenda degli ultimi anni mi conferma nell’idea che siamo di fronte a un problema che riguarda l’Italia nella sua interezza. Sottovalutiamo troppo spesso il fatto che il Centro Nord sta conoscendo il momento più difficile del dopoguerra. Il declino della produttività, addirittura, in quell’area è paradossalmente più forte: il Centro Nord, oggi, è indietro, sempre più indietro, rispetto al resto d’Europa».

L’attenzione degli economisti si è concentrata sullo sviluppo locale e in particolare sugli strumenti e sulle politiche che possono innescare processi di sviluppo i cui protagonisti principali sono le istituzioni locali. Elemento distintivo che contraddistingue lo sviluppo locale è proprio la capacità e la possibilità dei soggetti istituzionali locali di cooperare tra loro allo scopo di avviare percorsi di sviluppo condivisi, che sfruttino quindi le risorse e le competenze locali.

Ritorna, ancora una volta, dunque, il richiamo al ruolo delle istituzioni locali come programmatore, gestore e regolatore delle politiche di sviluppo, in termini di capacità (o incapacità) di creare occasioni, più o meno solide, di sviluppo.

Ma il giudizio sulla (in)capacità politica viene dal professor Ugo Marani, economista dell’Università di Napoli e presidente dell’Ires Campania: «Va detto con chiarezza. C’è una cattiva classe politica. Bisogna spiegare, una volta per tutte, quali sono i problemi che crea, quali le vie, se così si può dire, per le quali blocca lo sviluppo. E trarne le debite conseguenze».

Per questo motivo si punta, spesso in maniera ‘sperimentale’, a sviluppare approcci che siano in grado, attraverso la partecipazione ed il coinvolgimento attivo di diversi soggetti, pubblici e privati, di far circolare informazioni e consenso da convogliare verso la predisposizione di azioni che siano in grado di produrre interventi efficaci a sostegno dello sviluppo.

L’attività di promozione ed attivazione di iniziative di Sviluppo Locale non esaurisce la missione dell’attore pubblico: lo sviluppo socioeconomico è certamente una questione complessa e l’eredità degli ultimi decenni di dibattiti scientifici e politici, di intuizioni e sperimentazioni, è che il metodo dello sviluppo non è una scienza esatta, ma soprattutto non è una scienza. Per questo motivo le pratiche di ‘valutazione’ e di ‘osservazione’ potrebbero offrire un utile contributo al miglioramento delle politiche… ed il ruolo delle istituzioni (le buone istituzioni) resta fondamentale.

(3. continua)

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