Navigator e lavoro. Un flop prevedibile.

Navigator e lavoro. Un flop prevedibile.

Gianni De Falco, presidente Ires Campania.

 

navigatorPrima del varo del “Reddito di cittadinanza” il nostro era uno dei pochi paesi in Europa, con la Grecia, a non avere uno strumento per aiutare gli ultimi.

Al di là delle dichiarazioni del ministro Di Maio sulla fantomatica abolizione della povertà, al netto degli utilizzi dei furbetti, fortunatamente molto contenuti nei numeri ed anche in gran parte pizzicati dalla giustizia, ne hanno usufruito oltre due milioni di persone.

Quindi era opportuno averlo, soprattutto in una realtà come quella italiana dove tre regioni, Campania, Sicilia e Calabria, sono ai primi posti in Europa per rischio di povertà (ma non era stata abolita?), superando anche regioni estremamente arretrate della Romania, della Grecia e della Spagna, dove Di Maio non c’è, per loro fortuna, ma la povertà si, per loro sfortuna.

Si è messo mano su un argomento molto delicato come quello del “mercato del lavoro”. Le ingenuità che, invece, hanno caratterizzato la legge approvata sulla quale ora qualcuno, con linguaggio inadatto e populista, dice di voler fare un “tagliando”, sono state molte.

Per cominciare per un approccio avvertito si devono scindere gli aspetti dell’assistenza degli ultimi e quello delle cosiddette “politiche attive”, errore che ha determinato il fallimento, almeno parziale, dell’azione del reddito di cittadinanza perché, semplicemente, il legislatore non aveva previsto tale distinzione.

Per riepilogare, quindi, ben venga una misura che aiuti i più poveri a sopravvivere ma non bisogna dimenticare quelli che sono gli effetti indiretti di un’azione come quella adottata. Infatti un emolumento, senza corrispettivo, smarca dal mercato del lavoro.

Pensate a chi può arrivare ad un sussidio pari a 700 o 800 euro restando a casa, occupandosi della famiglia, dei figli, delle proprietà di famiglia e, perché no, assumere un lavoro in nero, aggiungendo al sussidio un reddito, considerando che nel nostro Paese l’occupazione per un 20-30% è costituita da lavoro sommerso come si evince in modo evidente dal confronto dei dati sul mercato del lavoro pubblicati dall’Istat, con quelli amministrativi che vengono dall’Inps.

Si capiscono, quindi, le lamentele che vengono da molti imprenditori che, pur in presenza, per esempio nel Mezzogiorno, di una esigenza di circa tre milioni di posti di lavoro per riequilibrare il rapporto fisiologico tra occupati e popolazione, non riescono a trovare forza lavoro disponibile.

Il mercato del lavoro è segmentato e può accadere che vi siano richieste per alcune professionalità che non hanno riscontro, pur in presenza di disoccupati. A titolo di esempio, se serve gente per la raccolta dei pomodori è improbabile che si rendano disponibili persone col titolo di ragioniere.

Per questo motivo molti lavori che gli italiani non vogliono più fare sono coperti da forza lavoro straniera comunitaria,  come rumeni, polacchi o extracomunitari come filippini, marocchini o tunisini. Per puro caso fanno rima con Salvini, non ce ne voglia il buon Matteo.

Per l’effetto di smarcamento è necessario che coloro che hanno diritto a un reddito di cittadinanza debbano essere impegnati in qualche modo. Questo utilizzo va effettuato con molta attenzione perché non diventi, per molte istituzioni, l’alternativa alle assunzioni per concorso, come già avvenuto, ma bisogna evitare, come è accaduto, che i fruitori del reddito di cittadinanza possano rendersi disponibili per lavori sommersi.

Viene ora in gioco il cosiddetto “Sistema lavoro nazionale” e le sempre più citate “Politiche attive” per il lavoro, in una parola vengono in gioco i “Centri per l’impiego” (CpI).

Per chi ha la mia età i vecchi “Uffici del collocamento e della massima occupazione”, definizione fin troppo ridicola in un Paese dove la disoccupazione ha sempre registrato numeri e percentuali considerevoli. Ma veniamo a questa mirabile trasformazione.

Il nostro istituto fu chiamato a lavorare, con UPITel (Unione Province Italiane settore Telematica), per verificare ed analizzare la trasformazione in atto dei vari Uffici Provinciali del collocamento di Napoli in Centri per l’impiego.

Per rafforzare i termini di paragone e avere obiettivi di buone prassi il Ministero del Lavoro ci suggerì di visitare i due Centri per l’impiego che in quell’anno ebbero assegnato un premio per la loro efficienza, i CpI di Piombino (Toscana, circa 30mila abitanti) e di Campobasso (Molise, circa 50mila).

Fatte le visite comprendemmo come il fenomeno della disoccupazione e la gestione delle politiche attive del lavoro in quelle aree fosse totalmente differente dalla nostra realtà.

I Centri si rapportavano a territori che mediamente lavoravano su un bacino di circa 2-3mila disoccupati con un contatto negli uffici per circa 20-30 disoccupati/giorno con una forza lavoro compresa tra 10-20 addetti.

I Centri napoletani si rapportano con territori che mediamente lavorano su bacini di circa 15-20mila disoccupati con un contatto negli uffici per circa 150-200 disoccupati/giorno con una forza lavoro compresa tra 5-10 addetti. Efficienza? Piuttosto limitata alla sostituzione delle targhe, da Ufficio del collocamento a Centro per l’Impiego. Organizzazione del lavoro, risorse, inefficienze tutte come prima.

In questa realtà si inquadra il fallimento dei “Navigator” (fortemente avversati, bisogna riconoscerlo, dal governatore campano De Luca). Hanno trovato una occupazione al solo 1,7% dei percettori di reddito. Un fallimento dipendente dal fatto che cercavano l’isola che non c’é. In questa dimensione di mercato del lavoro non potevano non fallire.

Il presupposto dal quale partì il legislatore del governo giallo verde (Lega – M5s) fu che la disoccupazione al Sud fosse dovuta all’impossibilità della domanda di lavoro di incontrare l’offerta. Quindi l’esigenza di avere una figura che aiutasse tali soggetti, impresa e lavoratori, ad incontrarsi.

Sembra evidente che questi legislatori non conoscevano i dati sul mercato del lavoro del Mezzogiorno. E cioè che a fronte di ventuno milioni di abitanti esistono solo poco più che sei milioni di occupati, e che per soddisfare tutte le esigenze espresse o nascoste, come quelle dei “Neet”, conosciuti anche come lavoratori scoraggiati, sarebbero necessari oltre tre milioni di nuovi posti di lavoro ma anche presenza di imprese in grado di assorbirli.

Potevano i poveri Navigator creare dal nulla quello che non esiste? Era fin troppo evidente che a loro veniva affidata una “Mission impossible”.

Bisogna convincersi che al Sud serve una politica che crei occupazione reale. Considerato che l’imprenditoria locale si è oramai espressa al suo massimo non ci resta che attrarre investimenti esterni all’area.

Affrontare materie così delicate con la voglia di andare in balcone (vecchio vizietto italico) a dichiarare ridicolaggini (abbiamo sconfitto la povertà) non fa bene né ai destinatari dei provvedimenti e neanche alle parti politiche che prima o poi pagano il conto. Troppo serio l’argomento lavoro per essere utilizzato per azioni demagogiche.

Come temeva De Luca oggi i Navigator lavorano e protestano per essere assunti in pianta stabile. Almeno loro.

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