Cent’anni di divisioniCent’anni di divisioni Vincenzo Esposito per gentile concessione www.vincenzoesposito.org
La rappresentazione postuma della scissione come l’errore di una parte – Bordiga e gli astensionisti – che diede vita al Pci e la giustezza di un’altra non trova riscontro nei numeri, i riformisti erano una esigua minoranza, l’insieme della sinistra sposò la causa del bolscevismo convinta che il compito primario del socialismo fosse l’affermazione dell’uguaglianza, la libertà sarebbe venuta successivamente per processo naturale dell’evoluzione della società. Sia i massimalisti, rimasti nel Psi, che i comunisti, usciti, condividevano una analisi della situazione italiana come pronta al salto rivoluzionario e la grave sottovalutazione del pericolo del fascismo alle porte, visto come una semplice reazione della borghesia all’inarrestabile marcia del socialismo. L’unica voce dissonante, insieme a Filippo Turati, fu quella di Giacomo Matteotti che, assente al Congresso perché impegnato a difendere la Camera del Lavoro di Ferrara dall’attacco degli squadristi fascisti, inviò un telegramma ai delegati per sensibilizzarli sul pericolo fascista. «E anche quando, nell’ottobre del 1921, si svolge a Milano il nuovo congresso nazionale socialista, si ripete la cecità di Livorno sull’offensiva fascista, e Matteotti interviene a nome di tutti i militanti cui le violenze squadriste e il disgusto per le dispute di corrente hanno impedito di essere presenti. “È indispensabile uscire dall’equivoco inerte del massimalismo e concentrare le energie sul problema vitale di come fronteggiare il fascismo senza precludersi l’uso di tutti i mezzi disponibili, da quelli legalitari e parlamentari sino a quelli volti a rispondere con la violenza alla violenza e alla illegalità.” Leggi tutto... Aggiungi commento
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