Istruzione e formazione antidoto per la precarietà giovanile
Allarmanti dati sul Sud. In Campania il tasso di occupazione più basso
In Italia il tasso di disoccupazione giovanile è al 27,9%, superiore alla media ponderata dell’area Ocse (16,7%). Il dato è riferito alla fine del 2010. La quota è in aumento di oltre 9 punti percentuali rispetto all’inizio della crisi, nel 2007, quando la disoccupazione giovanile era il 20,3%. La presentazione di questi dati deve essere disaggregata in relazione al differente peso specifico: precariato, salari, disoccupazione. La gravità dell’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro è dimostrata dal dato dell’organizzazione sul precariato: in Italia il 46,7% delle persone tra i 15 e i 24 anni che lavorano ha un impiego temporaneo. La percentuale dei giovani precari in Italia, sempre secondo i dati Ocse, è in costante aumento dall’inizio della crisi: 42,3% nel 2007, 43,3% nel 2008 e 44,4% nel 2009. Il balzo avanti è ancora più rilevante rispetto al dato del 1994, quando la percentuale di under 25 italiani con un impiego temporaneo era del 16,7%.
Il salario medio in Italia nel 2010 è stato di 36.773 dollari (a tasso di cambio corrente), contro una media dell’Ue a 21 di 41.100 dollari e dell’Eurozona a 15 di 44.904 dollari. Il salario medio italiano è superiore a quelli di Spagna (35.031), Grecia (29.058) e Portogallo (22.003), ma inferiore a Francia (46.365 dollari), Germania (43.352) e Gran Bretagna (47.645). Nell’area Ocse a luglio 2011 c’erano ancora 44,5 milioni di senza lavoro, 13,4 milioni in più rispetto al periodo pre-crisi, e il tasso di disoccupazione è rimasto superiore all’8%, e non lontano dal picco dell’8,8% toccato nell’ottobre 2008. La situazione, precisa il rapporto Ocse, è però molto disomogenea. Alcuni Paesi - tra cui Austria, Svizzera, Norvegia, Giappone e Corea - sono riusciti a mantenere la disoccupazione tra il 3,5 e il 5,5%, mentre altri, tra cui i quattro Paesi periferici della zona euro, Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna - PIGS - fanno ancora segnare un tasso a due cifre: il 21,2%. In questo quadro il Sud Italia presenta un ritardo strutturale e di lungo periodo, è "emergenza giovani": due su tre sono senza un’occupazione, e oltre il 30% dei laureati under 34 non lavora e non studia; è importante ricordare che la presenza delle donne in questo segmento è molto alta: le donne rinunciano alla ricerca del lavoro. Inoltre gli abbandoni scolastici aumentano anche se l’evasione scolastica diminuisce. A lanciare l’allarme è il Rapporto Svimez 2011 sull’economia del Mezzogiorno. Il tasso di disoccupazione nel Sud è stato del 13,4% (contro il 12% del 2008), più del doppio del Centro-Nord (6,4%, ma nel 2008 era il 4,5%). Se consideriamo tra i non occupati anche i lavoratori che usufruiscono della Cassa integrazione guadagni e che cercano lavoro non attivamente (gli scoraggiati), il tasso di disoccupazione corretto salirebbe al 14,8%, a livello nazionale, dall’11,6% del 2008, con punte del 25,3% nel Mezzogiorno (quasi 12 punti in più del tasso ufficiale) e del 10,1% nel Centro-Nord. Nel dettaglio, l’occupazione è in calo in tutte le regioni meridionali, con l’eccezione della Sardegna. Particolarmente forte è la diminuzione in Basilicata (dal 48,5 al 47,1%) e Molise (dal 52,3 al 51,1%). Valori drammaticamente bassi e in ulteriore riduzione - segnala la Svimez - si registrano in Campania, dove lavora meno del 40% della popolazione in età da lavoro, in Calabria (42,2%) e Sicilia (42,6%). In questo quadro, locale, nazionale, europeo, le iniziative del governo Monti, in particolare le azioni relative alle liberalizzazioni e all’equità fiscale, rappresentano elementi contingenti e non strutturali per aggredire le problematiche evidenziate in precedenza. Queste misure di politica economica devono essere affiancate dal decentramento delle politiche del mercato del lavoro con particolare riferimento al ruolo delle regioni. Il mercato del lavoro dei singoli Stati è sempre più dipendente dalle azioni e decisioni prese nell’ambito dell’Unione europea, quindi la sovranità nazionale di queste politiche si indebolisce nel tempo, ma il lavoro resta un fattore decisivo di identità personale, familiare, sociale. Il tema per il sindacato dei diritti è strategico. Quali politiche? Politiche per l’istruzione: alla danese. Invece della flessibilità sicura, è urgente implementare un modello di forte personalizzazione dei percorsi formativi dei ragazzi, in modo da tener conto delle preferenze, dei bisogni e delle capacità di apprendimento degli studenti per massimizzare la motivazione e le possibilità di successo. Un sistema che è, inoltre, rinforzato da borse di studio e supporti finanziari che incoraggiano i ragazzi a proseguire gli studi e a raggiungere presto una propria autonomia. Investire per istruire. Politiche per la formazione professionale: è urgente riordinare l’insieme e dunque eliminare sovrapposizioni, rendite di posizione, ma anche affiancare alla formazione professionale le imprese e idonee politiche di credito.
Le imprese, l’idea Imprenditoriale e non soltanto la contabilità costi-ricavi del percorso formativo. Incentivi fiscali per l’assunzione di giovani a tempo indeterminato con sviluppo d’impresa, gli incentivi devono tendere alla crescita della cultura d’impresa e alla riduzione delle 49 differenti tipologie contrattuali aggregandole per settore e non per costi. L’attenzione operativa è il recupero dell’evasione fiscale e contributiva -se questo non raggiunge risultati immediati e consolidabili utilizzare la patrimoniale - per investimenti che favoriscono l’ingresso di lungo periodo dei giovani al lavoro. Rimuovere le difficoltà di accesso al credito, la tassazione eccessiva, una burocrazia differente in relazione alla domanda d’impresa. Un percorso di lungo periodo che può evidenziare risultati immediati per il cambiamento e la trasformazione di un mercato del lavoro composto da pochi giovani e scarse prospettive di inserimento.
Paolo Giugliano
merQurio | Quaderni Sindacali | Anno X | n. 2 | marzo-aprile 2012