La “causa assente” e l’etica gestionale

La “causa assente” e l’etica gestionale

di Stefano Daltumontet

 

La questione morale è sicuramente un argomento centrale in Italia, un paese oggi considerato tra i più corrotti al mondo.

La corruzione non è solo fonte di enormi perdite economiche, è soprattutto fonte di degrado collettivo e di decadimento sociale. Nel nostro paese non poniamo alla base dei meccanismi premiali la competenza, ma, al contrario, la capacità di vivere e operare nella zona grigia del cosiddetto “mondo di mezzo”. Si genera così una distorsione morale che ha riflessi negativi anche sugli atteggiamenti corretti ed eticamente sostenibili.

 

 

Oggi, chi si pone al di fuori del sistema, largamente diffuso, della cura esclusiva di interessi privati, personali o di clan, da parte di chiunque abbia una qualsiasi responsabilità gestionale di qualche rilievo, fa una scelta morale arretrata scegliendo come riferimento l’etica di prossimità di stampo kantiano. E’ vero che l’uomo deve essere sempre considerato come un fine e mai come un mezzo, e insieme all’uomo ogni ambito che sull’uomo ha riscontri immediati, ma oggi, nell’epoca della globalizzazione, questo atteggiamento non basta più. La naturale repulsione degli onesti verso la corruttela generalizzata porta, dunque, al rifugiarsi nei principi fondanti l’etica moderna senza riflettere abbastanza che oggi tutto ciò non è più sufficiente.

Non è più possibile rimettere le nostre scelte morali solo a un comportamento individuale eticamente sostenibile. Non è più possibile limitarsi alla correttezza individuale come scudo e riparo contro la corruzione. Oggi è necessario fondare una nuova etica, un’etica gestionale, in grado di ridisegnare il rapporto tra chi viene eletto, o nominato a posti di responsabilità, e chi elegge o nomina.

Chi assume posizioni di rilievo che prevedono la disponibilità tecnica di strumenti capaci di un impatto sulla collettività, deve necessariamente assumersi responsabilità che vanno molto al di là della semplice etica di prossimità.

Essere eletto, e operare con onestà, diventa condizione necessaria ma non sufficiente dell’ agire corretto. Viviamo in un mondo troppo complesso perché degli onesti dilettanti possano, con la sola ed esclusiva legittimazione conferita loro dall’essere stati eletti, disporre di leve di comando che presuppongono competenze, maturità di giudizio, integrità morale e capacità gestionale. Tutte queste cose, coniugate insieme, descrivono il nuovo ruolo dell’amministratore, termine qui usato in senso lato.

Le sfide che abbiamo davanti non si risolvono operando come diligenti, e onesti, esecutori di normative e di indicazioni ministeriali. Le sfide che abbiamo davanti si affrontano e si superano solo esercitando le scommesse dell’agire sulla base di competenza, innovazione, capacità di leggere il futuro prossimo venturo, capacità di prevenire i bisogni.

Una felice elaborazione teorica di natura antropologica, sviluppata negli anni ’60 e ’70 del ‘900, individua come potente motore delle trasformazioni sociali la “causa assente”. Una causa invisibile, o indicibile, in grado di governare la catena di eventi, questi tutti visibili, che sfociano poi nei cambiamenti della struttura delle nostre collettività. Persino la lotta di classe, negli anni in cui questa si è espressa, non si è sempre palesata come contrapposizione “pura” tra proletariato e capitale, ma attraverso conflitti di diversa natura, benché la “causa assente” fosse la vera posta in gioco. E’ appunto la “causa assente”, oggi più che mai, il nodo che un amministratore competente deve mettere in luce. I motivi soggiacenti alla realtà visibile, le correnti di trasformazione che non si palesano in superficie sono i veri oggetti da sottoporre ad analisi.

Chi può farlo? Solo persone legittimate dall’esercizio democratico del voto e in possesso di un notevole bagaglio di competenze. Per questo ritengo che il tema etico sia più che mai di attualità, ma non nei termini dell’etica di prossimità, ma nel senso dell’etica gestionale che abilita gli eletti ad avere una vista completa sull’ultimo orizzonte, di leopardiana memoria, evitando che una siepe ne possa escludere lo sguardo.

Da tutto ciò discende una considerazione relativa alla “catena di comando” da implementare per gestire qualsiasi ente, organizzazione o struttura pubblica. E’ ovvio che una organizzazione rigida che preveda una gestione top-down del flusso decisionale è destinata oggi a non produrre frutti, se non, addirittura, a generare danni.

Catene di comando di questo tipo, di chiara impostazione militare, sono state utilizzate nelle grandi corporation americane alla fine degli anni ’40 del ‘900. I reduci della seconda guerra mondiale, che avevano avuto posizione di responsabilità nell’esercito, si adattarono perfettamente alle regole delle corporation, dove ritrovavano lo stesso clima gerarchico militare. Da allora sono passati più di sessant’anni, abbiamo avuto Taiichi Ohno, che ha rivoluzionato il mondo della produzione, il post-fordismo, la flessibilità, l’orizzontalità, il decentramento, la specializzazione flessibile, la programmabilità tutte impostazioni gestionali che si sono allontanate sia dalla gerarchia formale che della prospettiva reticolare della gerarchia e hanno contribuito alla nascita di elaborazioni teoriche completamente nuove nella gestione di organismi complessi.

Oggi, se vogliamo affrontare con speranza di successo un futuro sempre più incerto, si dovrà ripensare l’atteggiamento gerarchico di generazione delle decisioni. La catena di comando top-down dovrà essere sostituita con una rete orizzontale, non gerarchica, di connessioni tra gli amministratori, gli amministrativi e gli amministrati. La rete dovrà essere estesa a tutti portatori di interesse, partner istituzionali e non istituzionali inclusi.

Il modello di riferimento è quello in grado di allineare dinamicamente la struttura, i flussi di lavoro, le relazioni sociali e i flussi di benefici per i portatori di interesse. Una buona organizzazione è quella capace di mettere in fase la propria struttura formale con specifiche interazioni formali e informali, come le reti di sostegno, che coinvolgono tutti a tutti i livelli, le reti di fiducia, per la condivisione di informazioni “strategiche”, e le reti di comunicazione, come collante tra i portatori di interesse.

La flessibilità dinamica di un’organizzazione del genere permette un’agilità gestionale sconosciuta a impostazioni più rigidamente strutturate, che reagiscono lentamente e con difficoltà alla variazione dei parametri sociali ed economici.

La domanda è adesso semplice: chi è in grado di interagire con queste esigenze? Chi è in grado di gestire dinamiche così complesse? L’etica gestionale è la risposta a tali quesiti, risposta che ognuno di noi è chiamato a trovare in sé stesso.

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