Ricordando Peppino Vignola
Peppino Vignola, l’uomo dell’autonomia sindacale.
di Gianni De Falco, Ires Campania.
Peppino Vignola diviene segretario generale della Camera del Lavoro di Napoli nell’ottobre del 1964 dopo l’esperienza di segretario generale della Camera del Lavoro di Salerno alla quale arrivò dopo un’esaltante stagione nel sindacato dei braccianti.
In gioventù la sua esperienza politica lo portò a diventare segretario di Giorgio Amendola, all’epoca sottosegretario nel Governo De Gasperi.
Il suo impegno come segretario a Napoli coincise con tempi difficili: l’autunno caldo; le violenze fasciste e il terrorismo nero; i prodomi del terrorismo rosso; l’inizio della deindustrializzazione.
Tuttavia, in generale, il sindacalismo partenopeo attravarsò un periodo particolarmente felice legato al ridisegno organizzativo sul territorio con la nascita dei Consigli di Fabbrica e la costituzione della Cgil Regionale; la nascita degli stabilimenti Alfa a Pomigliano d’Arco, della Fonderia Partenopea a Caivano, della Finac ad Arzano e l’entrata in produzione della Merisinter; l’approvazione del PRG dell’area ASI di Napoli.
Peppino va ricordato, comunque, per l’aspro confronto che dovette subire sia con la Cgil Nazionale sia, soprattutto, con il PCI partenopeo e nazionale. Motivo del contendere la sua decisione di organizzare il primo maggio 1967 senza corteo che, a suo dire, era diventato una “parata politica” senza lavoratori ed operai. La Festa del lavoro andava restituita al sindacato e, appunto, ai lavoratori e agli operai.
Convocato in Via dei Fiorentini dal segretario provinciale PCI Antonio Mola e da quello regionale Massimo Caprara fu informato della contrarietà del partito a questa iniziativa, il buon Gerardo Chiaromonte lo informò che «anche Giorgio (Amendola, ndr) ti fa sapere che non è d’accordo».
Peppino sostenne le sue ragioni. Tornato in sede a Via Costantinopoli fu raggiunto da una telefonata di Rinaldo Scheda della segreteria nazionale della Cgil che, con maggiore prudenza, chiese spiegazioni all’isolato segretario napoletano. Alla fine del colloquio, che immaginiamo lungo e difficile, Scheda appoggiò la proposta solidarizzando col povero Vignola.
La Festa del lavoro fu organizzata nella Villa Comunale di Napoli con discorso sindacale, mostre e spettacolo. La risposta del PCI fu durissima: poche persone nel parco, nessuno visitò le mostre e solo qualcuno in più assistette allo spettacolo di Miranda Martino. Non solo, la cosa non finì solo con l’inatteso flop, Peppino fu convocato alle Botteghe Oscure!
A Roma dovette vedersela con Giorgio Napolitano, Ferdinando Di Giulio, Massimo Caprara, Rinaldo Scheda e Luciano Lama. Il piccolo (solo fisicamente) Peppino non retrocesse di un palmo e nel libro di Matteo Cosenza “Il Riscatto”, edito per il centenario della Camera del Lavoro di Napoli, dichiara «ricordo, io andai per la mia strada. Quella scelta voleva essere un tentativo di rottura di sistemi superati e soprattutto un’occasione per rivendicare l’autonomia del sindacato … non più rinviabile nella sua attuazione».
Alla fine del suo mandato il nuovo segretario della Camera del Lavoro divenne Nando Morra interrompendo, in questo modo, una storica serie di segretari provenienti dall’esterno e indicati dal PCI.
Morra rappresentò una svolta, un segretario cresciuto in fabbrica e nel sindacato. La lotta ed i sacrifici di Peppino non furono quindi spesi invano. La linea dell’autonomia, tanto difesa da Vignola, vinse nonostante l’impari confronto.
Peppino Vignola fu anche il sostenitore della riunificazione del sindacato camerale e categoriale in un unico edificio per rispondere alla esigenza di un controllo più “vivo” ed una vita più partecipe dell’organizzazione oltre che a un più funzionale rapporto tra sindacato e lavoratori. Individuò come soluzione l’edificio della ex Banca di Calabria in Via Depretis e avviò una sottoscrizione pubblica per realizzare questo nuovo cambiamento logistico/organizzativo. Bisognava però regolare i rapporti con il vecchio proprietario di Via Costantinopoli, Achille Lauro, che chiedeva una buonuscita per il restauro della sede dopo anni di affitto a cifre simboliche. Impegnato alla ricerca di finanziamenti Vignola avviò con il figlio del comandante, Gioacchino, una estenuante ed improduttiva trattativa (come ammise lui stesso «me lo giravo come volevo…»)che si concluse per l’intervento diretto e perentorio del comandante che, da una parte rimbrottò severamente il figlio (solenne cazziatone) e, dall’altra, ottenne cinque milioni per la ristrutturazione della sede.
Dopo l’esperienza napoletana Peppino Vignola si trasferì a Roma nella Segreteria nazionale della Cgil. Per un breve periodo poi tornò a Napoli nella segreteria regionale della Cgil. Seguirono poi le tappe politiche con l’elezione nella VIII e IX legislatura alla Camera dei Deputati e nella X legislatura al Senato della Repubblica.