Intervista al Prof. James K. Galbright
James Kenneth Galbraith:
L’Italia ha una missione da compiere in Europa per il progresso democratico.
A Lecce, James Kenneth Galbraith al convegno “Il Mezzogiorno nello spazio EuroMediterraneo, in ricordo di Guido Dorso” ci racconta cosa sta succedendo negli Stati Uniti d’America e ci invita ad agire, perché l’Italia ha una missione da compiere in Europa che né la Germania, né la Francia possono guidare.
Intervista di Monica Soldano
E’ sceso anche in Puglia, prima a Bari, poi a Lecce, James Kenneth Galbraith, l’economista neokeynesiano, che insegna in Texas, ad Austin, alla Lyndon B. Johnson School. E’ stato il direttore esecutivo del Comitato economico del Congresso americano negli anni ’80, ben noto anche in Europa, dove ha sostenuto le istanze della ripresa della Grecia come consulente in vari livelli politici ed istituzionali. Pacifista in politica estera, oppositore di una politica monetaria dedita solo alla finanza, Galbraith predica il rilancio di un sistema economico più equo, in cui l’Europa deve giocare un ruolo trainante. Sprona fortemente l’Italia a diventare leader del processo di riunificazione, aperto al Mediterraneo. A Lecce, alla presenza del ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda, di giovani start up ed imprenditori rigorosamente meridionali, invitati dall’ Osservatorio Banche Imprese e dall’Associazione Guido Dorso, James Galbraith è sembrato molto preoccupato per lo scenario internazionale, ma a suo agio nel nostro Paese. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Professor Galbraith aveva previsto la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti d’America?
Confesso che mi sono sentito ferito alle spalle con un colpo mortale e non è stato affatto piacevole. Tuttavia, la vittoria di Trump è stata la reazione ad un perdurante cattivo rapporto del partito democratico con la sua base. Oltre al fatto che tre stati come la Pennsylvania, il Michigan ed il Wisconsin hanno votato per Trump perché la maggioranza della classe operaia è scomparsa e perché tutto il lavoro manifatturiero è cambiato, così quella fetta di popolazione ha modificato i suoi comportamenti ed il Partito Democratico non è più stato in grado di rappresentare i loro interessi.
La protesta in piazza contro la vittoria del presidente Trump, all’indomani della sua elezione, è preoccupante, può diventare un segnale di disordine sociale, un problema di sicurezza interno agli Stati Uniti?
La protesta riflette il fatto che una buona parte della popolazione americana si è sentita minacciata dal clima generato dalla nuova amministrazione. Il Presidente è stato eletto negli Stati Uniti, d’accordo, ma con discorsi pubblici ansiogeni contro la comunità degli immigrati e gli afroamericani
In particolare. Gli atti di violenza della polizia contro di loro sono stati sminuiti e svilito ogni avanzamento democratico. Questo è il motivo che ha portato molta gente ad avere paura e che è alla base della protesta.
Nel suo discorso a Lecce, lei è stato molto critico verso quelli che ha definito i Clinton. Lei afferma che hanno distrutto la classe media americana, la cosidetta “white middle class”, mentre con Barack Obama è più tenero. Come mai?
Per spiegarmi meglio, occorre fare una premessa storica e politica. Il settore manifatturiero negli Stati Uniti è stato il cuore del reddito e della prosperità economica per l’ Upper Middle West fino alla fine degli anni ’80, quando con la presidenza Reagan si cominciò fortemente ad erodere. Poi, la liberalizzazione del commercio siglata dal presidente Bill Clinton, che presupponeva una forte globalizzazione, portò, invece, tutto il settore al deterioramento, mentre i lavoratori ed i sindacati continuarono a sostenerlo e a celebrarlo. Ad est cresceva la finanza con altre attività, sulla costa occidentale si sviluppava la tecnologia, mentre il “middle west” veniva abbandonato. Il presidente Barack Obama ha ereditato tutto questo, non è riuscito a ridurlo, ma ha tentato di correre ai ripari, con un sostegno, che non ha risanato l’economia nel suo complesso, ma che ha tentato un recupero, non credo che Trump lo condividerà facilmente.
Lei ha sostenuto che la nuova politica fiscale della presidenza Trump darà la cifra del cambiamento in atto. Che cosa intende?
Mi aspetto due cose: una sostanziosa riduzione della tassazione sulle attività profit e sulle rendite per gli incrementi marginali, entrambe favoriranno la classi più ricche. In questo senso, la politica fiscale di Trump è molto chiara e coerente con una politica economica di tipo conservatore e repubblicano.
Veniamo agli affari internazionali. Secondo Lei, l’Europa e l’Italia interesseranno poco la presidenza Trump, che potrebbe sembrare più concentrata sul rafforzamento del potere economico interno agli Stati Uniti?
Ragionevolmente la politica di affari di Trump potrebbe essere più ampia, interessata soprattutto alle relazioni con la Cina e la Russia. Tuttavia, quello che accade in questi casi è che la responsabilità per le politiche di sviluppo verso l’Europa o altre regioni del mondo possa coinvolgere altre popolazioni e questo potrebbe renderle attive. Non sarei sorpreso se scoprissi che possano esistere anche politiche statunitensi attive, ma la loro natura potrebbe essere quella di politiche oligarchiche legate agli affari e agli interessi di questo mondo, interessato a legami con le destre europee.
Professor Galbraith, lei ha parlato di Iran con grande preoccupazione. Cosa prevede che possa accadere?
Sinceramente non lo so. Per la Siria prevedo la possibilità di un accordo che condivida gli obiettivi russi. Per l’Iran, invece, la questione è aperta. Di certo gli interessi economici degli affari rispetteranno gli accordi esattamente come prima. Allo stesso tempo ci potrebbe essere una questione che potrebbe generare una forte opposizione. Forse la nuova amministrazione potrebbe comprendere che rispettare gli accordi è di interesse per gli Stati Uniti, ponendo un bilanciamento negli accordi sugli armamenti nucleari. Oppure si potrebbe perseguire una politica molto più aggressiva in cui potrebbe essere più difficile per l’Iran sviluppare le sue risorse. Capire cosa farà davvero la nuova amministrazione americana, al momento, resta una questione aperta.
Concludendo il nostro incontro. Per lei che frequenta spesso l’Italia e che è stato più volte ospite all’appuntamento annuale del Sorrento meeting sulle politiche per il Mediterraneo, come le sembra l’attuale situazione del nostro Sud, vista da oltreoceano?
Il Sud è veramente un posto eccezionale e credo che questo sia chiaro a chiunque venga qui, sia per le sua bellezza che per la sua cultura. Io sono profondamente convinto che l’Italia abbia un ruolo fondamentale, d’ eccezione da giocare ora, nel processo evolutivo democratico dentro l’Europa. Se l’Unione Europea deve sopravvivere, deve cambiare e questa guida al cambiamento non potranno interpretarla la Germania o la Francia, ma dovrà essere cercata altrove. L’Italia ha in questa fase la missione di ricondurre l’Europa verso il progresso democratico e ad una riunificazione.