L’Università tra innovazione e tradizione

di Stefano Dumontet, docente Università degli Studi di Napoli “Parthenope” e Giovanni De Falco, presidente Istituto di Ricerche Economiche e Sociali della Campania.

 

ISTRUZIONE LEZIONE SUPERIORI INSEGNATE STUDENTII MARKA-U403302486595N1B--258x258Quotidiano Scuola-WebIn un mondo che si avvia a una completa deregolamentazione e liberalizzazione in tutti i settori della vita economica e collettiva, bisogna profondamente rivedere il ruolo di ogni attore sociale. Non basta più essere innovativi rispetto a un sistema che sta eclissandosi, ponendosi all’avanguardia di dinamiche che saranno tra breve obsolete. Bisogna cambiare paradigma, bisogna innovare guardando a una nuova struttura della collettività in cui gli usuali punti di riferimento non esistono più.

 

Per rimanere nel concreto e focalizzare il nostro discorso sul tema dell’Università, è ovvio considerare che tutte le filiere formative, di ogni ordine e grado, devono oggi sopperire alla mancanza, o all’inefficienza, delle strutture, pubbliche o private, che si occupano di ciò che accade a monte e a valle del momento formativo. In questo contesto l’Università svolge un ruolo particolarmente critico.

Il sistema formativo deve individuare, ricalibrare la propria missione, che nell’era della globalizzazione e della complessità, oltre alla trasmissione di conoscenze, deve promuovere democrazia, coesione sociale, cittadinanza attiva.

L’Università è oggi sul mercato come ogni altra azienda e il suo mercato di riferimento è estremamente complesso, labile, atipico e si evolve in modo poco prevedibile. Questo perché è complesso, labile, atipico e in evoluzione poco prevedibile l’intero contesto sociale. L’Università non vende cultura, i suoi iscritti non sono una materia prima e i suoi laureati non sono un prodotto finito. La cultura, bene immateriale per eccellenza, è di pubblica e gratuita fruizione, dalle sue forme più semplici a quelle più complesse. Questo era vero ieri, quando il sapere era condensato nei libri e fruibile solo in formato cartaceo, ed è ancor più vero oggi nell’epoca delle information and communication technologies. L’Università vendeva, ieri, il risultato di tecniche didattiche e la certificazione delle conoscenze acquisite, mentre oggi dovrebbe vendere il risultato di tecnologie di trasmissione del sapere e la certificazione delle competenze acquisite.

L’Università ha, quindi, scopi, obiettivi, mercato, finalità e missione fondamentalmente diversi da altri settori che erogano servizi a cui non può in alcun modo essere equiparata.

E’ un esercizio futile inseguire il mondo del lavoro nelle sue perenni evoluzioni e nelle sue mutevoli richieste di competenze. L’Università non potrà mai adeguarsi alle esigenze di un mondo che si evolve più rapidamente di quanto possa mutare la sua offerta formativa. Non per questo l’Università è destinata a rivestire un ruolo ancillare nelle dinamiche economiche.

Rilevare l’assenza di strutture in grado di occuparsi di ciò che accade a monte e valle del processo educativo universitario, significa ribadire il nuovo ruolo delle Università, chiamate oggi a sostituirsi a una serie di attori ormai scomparsi o non più in grado di seguire dinamiche sociali divenute a loro fondamentalmente estranee.

I presidi tradizionali, che dovrebbero assicurare un punto di riferimento solido e attendibile rispetto alle dinamiche del mondo del lavoro, hanno ormai il fiato corto, sia nel senso della loro effettiva rappresentatività nei vari settori, sia per l’incapacità di leggere il presente, sia per la mancanza di ogni possibile strumento di previsione nel breve-medio periodo. La scarsa rappresentatività e la scarsa capacità di leggere gli sviluppi dei loro settori, fanno delle associazioni datoriali un punto di riferimento inefficace per tarare offerte formative coerenti con il mercato del lavoro.

L’Università deve attrezzarsi e far da sé quello che prima facevano le strutture che si occupavano di tutto ciò che accade a monte e a valle del processo formativo. Inoltre, la formazione universitaria dovrebbe avere come obiettivo il trasferire competenze tali da permettere al suo laureato di incidere sulle opportunità di lavoro, trasferendo, egli stesso, idee e innovazione. Il suo compito non è quello di formare laureati da ri-formare continuamente per inseguire senza sosta le ondivaghe esigenze di un mercato del lavoro in caotica evoluzione.

Cosa si può fare nel concreto? Prima di esaminare alcune proposte, penso sia necessario ribadire che lo scopo primo dell’Università deve essere quello di trasferire competenze in grado di permettere al laureato di trovare un’occupazione. Un’impostazione troppo teorica privilegerebbe solo chi è destinato alla carriera scientifica come ricercatore o docente universitario. Un’impostazione troppo curvata sugli aspetti pratici delle discipline priverebbe la formazione dei presupposti teorici, primo requisito per alimentare la capacità di innovare. Il delicato equilibrio tra questi opposti modi di fare formazione è la chiave di volta del successo.

Non basta però una formazione equilibrata. L’Università deve essere lo strumento di marketing dei suoi laureati e deve essere lo strumento di marketing delle attività lavorative che i suoi laureati possono interpretare. Deve essere in grado di sopperire alle mancanze delle strutture tradizionali e indagare sui potenziali mercati del lavoro, deve creare i presupposti perché i suoi laureati incontrino i bisogni, palesi o inespressi che siano, della compagine sociale. Ogni Università compete con altre Università nel placement  dei suoi laureati. Si tratta qui di interpretare un ruolo completamente nuovo, inedito e mai affrontato prima.

L’Università dovrebbe dotarsi di un proprio “osservatorio sul mondo del lavoro”, tarato sulle discipline e sui corsi di laurea di cui dispone. Ogni Università dovrebbe farlo perché ogni struttura universitaria è diversa dalle altre. E’ diversa nei metodi e nelle tecnologie di insegnamento, nelle competenze dei docenti , nelle aree geografiche di riferimento, nei contatti esterni, ecc. Ogni Università forma laureati con caratteristiche specifiche. Ogni osservatorio deve partire dalla natura peculiare dell’Università in cui è attivato e operare in sintonia con questa. Per le Università telematiche il discorso è ancor più cogente, anche per l’importanza relativa della loro territorialità e per le caratteristiche innovative delle loro tecnologie di trasferimento delle competenze.

Nelle società contemporanee la produzione e l'acquisizione di sapere e conoscenza rappresentano uno dei tratti più distintivi e pervasivi, a diversi livelli, fino a divenire condizione essenziale per l'esercizio della cittadinanza. Nello stesso tempo, le forme di impiego si fanno più differenziate rispetto al recente passato e pretendono una flessibilità soggettiva a fronte di modalità crescenti di lavoro contingente, del forte sviluppo della mobilità trasversale e verticale, della diffusione degli impieghi a tempo parziale e/o precari, dell'estensione di modalità ricorrenti di uscita ed entrata nel lavoro.

In tali contesti mutevoli, la promozione dell'inserimento lavorativo ruota intorno al concetto di occupabilità, il quale fa riferimento sia ad aspetti oggettivi, presenti nel contesto economico-istituzionale, sia soggettivi, con un posto di tutto rilievo per i percorsi formativi superiori, sia di percorsi di valorizzazione e marketing delle competenze (metacompetenze e competenze trasversali) dei propri laureati.

I concetti di metacompetenze e di competenze trasversali rappresentano un efficace trait d'union tra le caratteristiche degli attuali contesti socio-economici e il mondo del lavoro, della formazione superiore e del life-long learning. Si possono creare così inedite occasioni per "ragionare" sulle opportunità, ed anche sulle necessità, di acquisire competenze nuove e di aggiornare competenze obsolete per acquisire metacompetenze in grado di promuovere l'inclusione nella società della conoscenza e di affrontare le sfide del prossimo futuro.

Lo scenario occupazionale attuale risente fortemente dell'invecchiamento della forza lavoro, frutto di un rallentamento delle dinamiche produttive, essenzialmente dovuto ad un mercato del lavoro fermo e controllato attraverso rigide norme di accesso. Tutto ciò determina un deficit di competenze sempre maggiore. In generale, le società occidentali devono oggi preservare la propria competitività con un numero di giovani con competenze moderne, che oggi via via si assottiglia, e con una larga proporzione di lavoratori più anziani, formata su tecnologie e conoscenze obsolete, che tesaurizza rendite di posizione e che avrebbe bisogno di un refreshmenent di competenze.

Il lavoro a tempo parziale e forme contrattuali a tempo determinato sono divenuti la reazione ordinaria ad una crescita lenta dei mercati e all'incertezza  degli stessi, che si riflette in una generale incertezza sociale. Tali modelli di lavoro possono inoltre derivare da elevati livelli di regolamentazione, i quali alterano le modalità di assunzione del personale da parte dei datori di lavoro, oltre ad influenzare il tasso di creazione netta di posti di lavoro.

La mobilità settoriale e la mobilità professionale costituiscono aspetti di pari rilievo della flessibilità del mercato del lavoro, ma non esistono dati disponibili per valutare la relativa incidenza del fenomeno sulle varie professioni. Agevolare i laureati nel cambiare specializzazione professionale e garantire un accesso alla necessaria riqualificazione sono fattori importanti nel contrastare le emergenti carenze di competenze, nel ridurre i divari di produttività e promuovere di conseguenza la crescita e l'occupazione.

Ciò che manca è un sistema stabile di individuazione dei processi di domanda ed offerta di lavoro, anche nel settore delle libere professioni, capaci di rendere conto delle situazioni in evoluzione e di fornire informazioni sistematiche in grado di rendere chiare le dinamiche del mercato ed i fabbisogni professionali locali e nazionali per organizzare coerenti politiche di orientamento al lavoro.

E’ esplicito l’invito a sperimentare nuove metodologie formative che destrutturino il vecchio percorso, consolidato, basato sulla teoria organizzativa taylorista e fordista, e su di un sistema produttivo standardizzato ed immutabile (almeno per periodi più o meno lunghi) al quale corrisponde un sistema pressoché immutabile di offerta formativa.

Il percorso innovativo parte dall’analisi dei “nuovi” fabbisogni, non solo espliciti, che l’Osservatorio riuscirà a definire ridisegnando le nuove competenze (il Catalogo) necessarie alla definizione delle nuove figure professionali e i nuovi modelli organizzativi. Come tutte le politiche orientate alla “Occupabilità” confermano, la certificazione delle competenze (Alta formazione, Università) è tratto fondamentale per la costruzione di un sistema del lavoro al passo coi tempi.

Per concludere, si tratterebbe, dunque, di destrutturare l’attuale sistema di domanda-offerta di formazione e di aggiornamento per strutturare un sistema formativo basato sulle competenze e sui fabbisogni del territorio. Un sistema in cui l’offerta (l’Osservatorio) sia in grado di comprendere le evoluzioni del mercato del lavoro e dei sistemi economici in maniera più rapida, relazionando e saldando tutto il sistema di filiera: dalla scuola (dando finalmente un senso alle attività di Alternanza scuola-lavoro), all’Università (ridefinendo i sistemi di Orientamento e riarticolando le nuove metodologie didattiche ai fini dell’acquisizione di competenze), al lavoro (o lavori) (riconducendo il sistema imprese in un circuito attivo di collaborazione e scambio), per incidere sui modelli di sviluppo territoriali e professionali in un circuito moderno di competenze e competitività.

Un’agenda di questo tipo dovrebbe essere percepita come un’assoluta priorità sia dal “sistema lavoro” (urgentemente da riformare) sia da parte delle Università italiane.

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