Il PNRR Visto da Sud.Il PNRR Visto da Sud Conferenza organizzata da Alleanza Istituti Mediterranei e Osservatorio di Economia e Finanze. 7/05/21.
Intervento di Gianni De Falco, presidente IRES Campania e coordinatore AIM
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, dovrebbe riconoscere alle otto regioni del sud una priorità orizzontale per “Ridurre i divari territoriali e liberare il potenziale inespresso di sviluppo del Mezzogiorno”. Si fa riferimento al Piano Sud adottato nel febbraio 2020, che invoca il riequilibrio delle risorse ordinarie per gli investimenti senza indicatore di attribuzione, con l’effettiva applicazione della clausola del 34%, rafforzata nella legge di bilancio 2020, ovvero con una distribuzione quantomeno proporzionata agli abitanti delle otto regioni del Sud.
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Il PNRR visto da Sud.Importante iniziativa organizzata da Alleanza degli Istituti Meridionalisti e di Osservatorio di Economia e Finanza. Riflessioni, discussioni, osservazioni, analisi sul documento Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Venerdi 7 maggio ore 16,30. La conferenza sarà visibile sui canali social Sabato 8 maggio ore 18.00 I parte e Domenica 9 maggio ore 18.00 II parte. Primo Maggio 2021Cent’anni di divisioniCent’anni di divisioni Vincenzo Esposito per gentile concessione www.vincenzoesposito.org
Al XVII Congresso nazionale del Partito Socialista a Livorno, votarono 172.487 delegati con 981 astenuti, la mozione dei comunisti unitari ebbe 98.028 voti pari al 56,8%; la mozione dei comunisti puri 58.783 voti, il 34% della platea congressuale; la mozione concentrazionista 14.695, appena l’8,5% dei votanti; complessivamente l’adesione alla Terza internazionale fu votata dal 92,8% dell’assise. La rottura tra i comunisti unitari di Serrati e i puri di Bordiga e il Cominform avvenne sulla richiesta categorica di espellere Turati e i riformisti dal Partito e di cambiargli il nome. Serrati difese l’autonomia decisionale del Partito e rifiutò il diktat del Cominform che vincolava l’adesione alla Internazionale all’accettazione delle due condizioni non negoziabili. La rappresentazione postuma della scissione come l’errore di una parte – Bordiga e gli astensionisti – che diede vita al Pci e la giustezza di un’altra non trova riscontro nei numeri, i riformisti erano una esigua minoranza, l’insieme della sinistra sposò la causa del bolscevismo convinta che il compito primario del socialismo fosse l’affermazione dell’uguaglianza, la libertà sarebbe venuta successivamente per processo naturale dell’evoluzione della società. Sia i massimalisti, rimasti nel Psi, che i comunisti, usciti, condividevano una analisi della situazione italiana come pronta al salto rivoluzionario e la grave sottovalutazione del pericolo del fascismo alle porte, visto come una semplice reazione della borghesia all’inarrestabile marcia del socialismo. L’unica voce dissonante, insieme a Filippo Turati, fu quella di Giacomo Matteotti che, assente al Congresso perché impegnato a difendere la Camera del Lavoro di Ferrara dall’attacco degli squadristi fascisti, inviò un telegramma ai delegati per sensibilizzarli sul pericolo fascista. «E anche quando, nell’ottobre del 1921, si svolge a Milano il nuovo congresso nazionale socialista, si ripete la cecità di Livorno sull’offensiva fascista, e Matteotti interviene a nome di tutti i militanti cui le violenze squadriste e il disgusto per le dispute di corrente hanno impedito di essere presenti. “È indispensabile uscire dall’equivoco inerte del massimalismo e concentrare le energie sul problema vitale di come fronteggiare il fascismo senza precludersi l’uso di tutti i mezzi disponibili, da quelli legalitari e parlamentari sino a quelli volti a rispondere con la violenza alla violenza e alla illegalità.” |